Da qualche anno durante le estati irachene le uova cuociono sui sassi all’ombra a temperature superiore ai 57 gradi. E’ il segnale per chi lo vuole comprendere, che immense masse di uomini nei prossimi anni cercheranno di migrare verso luoghi più temperati. “Questo è lo scenario più probabile conseguente l’aumento della temperatura oltre i 3 gradi. Il modo in cui il mondo ricco si ‘adatterà’ agli sconvolgimenti climatici è già delineato: scatenare completamente le ideologie tossiche che classificano il valore relativo delle vite umane in base al continente di provenienza, al colore della pelle, all’appartenenza o meno a determinati profili, al fine di giustificare il colposo e premeditato scarto di enormi fasce dell’umanità. (Steve Bannon pubblicamente sostiene che il pianeta può ospitare al massimo 2 miliardi e mezzo di persone … se questa è la sintesi possiamo immaginare il retro pensiero). E ciò che inizia come brutalità al confine del mondo ricco infetterà le società ricche nel loro insieme e al loro interno. Il mondo ricco è esso stesso pieno di poveri. Scatenare forze politiche per cambiare il destino dell’umanità sembra sempre più difficile e complicato. Il GNDE è per ora solo un annuncio privo di efficacia, le emissioni continuano a crescere mentre da 35 anni si annunciano clamorosi accordi e obiettivi che non trovano riscontro nella realtà. Le emissioni clima alteranti continuano a crescere.
I mercati nel loro complesso giocano un ruolo negativo in questa visione, non sono loro i protagonisti della soluzione del problema ma lo possono essere le persone, se comprendono il pericolo e il destino a cui andranno incontro i loro figli che allevano tanto amorevolmente.
I paesi ricchi per 20 anni hanno surrogato sugli obiettivi globali vincolanti, spostando le emissioni dai paesi ricchi a quelli con regole ambientali meno rigorose . Questo trucco non ha funzionato. Quello che mandiamo altrove ci ritorna nel piatto sotto forma di mercurio e plastica nella pancia e nelle carni del pesce che mangiamo e le fabbriche cinesi dove abbiamo spostato le produzioni immettono in atmosfera gas e sostanze clima alteranti che non incidono solo sul clima cinese ma su quello di tutto il globo. Abbiamo sentito dire che le Banche sono troppo grandi per fallire e le abbiamo salvate in fretta impoverendo i cittadini e desertificando intere arre industrialoi del Paese, ora dobbiamo chiederci se anche il pianeta non sia troppo grande per farlo fallire e impedire che il mondo si impoverisca ancora di più con la stessa velocità con cui abbiamo salvato le banche. 25 conferenze sul clima dal 1995 non sono servite a nulla perché la distanza tra scienza che avverte e politica che decide è troppo profonda. Una domanda è d’obbligo: siamo convinti che una alleanza di Governi di Paesi fortemente indebitati o poveri dove operano dinamiche estrattive, apparati finanziari interessati solo alle rendite di breve o medio termine e sistemi industriali interessati solo all’aumento dei consumi possono dislocare gli immensi capitali e le energie che una conversione ecologica delle economie e degli apparati produttivi richiedono, revisionare le regole della competizione e del commercio mondiale compreso il ruolo del WTO? Se questo non è avvenuto finora per quale motivo dovrebbe avvenire in futuro? Se avverrà sarà decisamente tardi. Jurgen Randers uno dei più prestigiosi climatologi a livello mondiale componente del team che pubblicò “i limiti dello sviluppo” del 1974 nel suo ultimo libro “2052” dichiara senza mezzi termini che il tempo per intervenire sulle cause del riscaldamento climatico è tramontato e che è più opportuno investire per contrastare gli effetti che sono già sotto gli occhi di tutti, effetti che rappresenteranno il più colossale meccanismo di impoverimento di massa che il mondo abbia mai conosciuto. La pandemia è figlia dei cambiamenti climatici e del modello di sviluppo dominante che ha prodotto una rottura insanabile negli equilibri biologici del pianeta. Ora noi cittadini dobbiamo scegliere se continuare a dare fiducia ai governi e alle istituzioni internazionali rimanendo in attesa che da quei consessi escano soluzioni rapide ed efficaci anche a seguito delle pressioni dei gruppi ambientalisti e della opinione pubblica, oppure immaginare vie alternative. Ma quali possono essere le via alternative? IL quadro è di una complessità enorme, perchè non si tratta di fare un po’ di cosmetica, ma di abbattere i pilastri su cui si base l’economia e la finanza dall’inizio della rivoluzione industriale e per alcuni aspetti ancora da prima.
- Creare economia circolare e filiere locali corte in opposizione alle filiere lunghe tipiche dell’economia globalizzata
- Demolire i monopoli che si annidano nei nodi intermedi delle filiere produttive e soprattutto alimentari
- Allungare la durata dei prodotti in opposizione all’obsolescenza programmata funzionale e del design
- aTrasformare laddove conveniente per l’ambiente il prodotto in servizio.
- Decentralizzare la produzione di energia in opposizione alla centralizzazione attuale
- Decentralizzare gli strumenti finanziari in opposizione alle grandi concentrazioni di potere finanziario attuale
- Politiche sanitarie orientate alla prevenzione in contrapposizione al dominio della cura e del relativo business che viene ingigantito dalla progressiva patogenicità indotta dal degrado ambientale
- Sviluppare il trasporto pubblico in opposizione al trasporto privato che deve essere limitato per legge.
- Imputare i costi ambientali a chi li produce in opposizione alla loro socializzazione
- Allevamenti e coltivazioni bio in opposizione a quelli intensivi.
- Defiscalizzare il prodotto sostenibile e biologico
- Proibire o inasprire fiscalmente i prodotti usa e getta per un periodo di tempo limitato antecedente la messa al bando per permettere la conversione industriale.
- Ammettere al WTO solo paesi con politiche ambientali compatibili con gli obiettivi Agenda 2030, per tutti gli esclusi devono essere imposti dazi aggiuntivi e limiti alle importazioni su cui deve incidere anche il rispetto delle condizioni di sicurezza e salute dei lavoratori.
Ora è evidente che una soluzione efficace ai cambiamenti climatici deve avere carattere sistemico e contemplare tutte le variabili in campo. Affrontare una sola delle concause porta inevitabilmente al fallimento a cui tra l’altro stiamo assistendo. Torna dunque la domanda iniziale: possono i responsabili del disastro ambientale diventare i protagonisti della cura del pianeta? Non lo sono diventati in 40 anni, non lo diventeranno nei prossimi decenni, perché per curare il pianeta bisogna cancellare o convertire (dipende dai punti di vista) i principali meccanismi di produzione della ricchezza delle elite mondiali, meccanismi presidiati e protetti ferocemente dalle istituzioni mondiali FMI WTO, dalle grandi concentrazioni del potere economico finanziario e dalla politica cui tocca il lavoro sporco di gestire le esternalità. Non sembrano purtroppo ergersi forze esterne alle elite organizzate di natura politica, sociale, economica che siano in grado di contrapporsi al corso scontato di questa storia. Il cambiamento ha infine altri nemici consapevoli e inconsapevoli:
- La lentezza dei cambiamenti climatici che produce nella popolazione disattenta ai fatti scientifici assuefazione rispetto ai segnali e alle evidenze progressive di fenomeni sempre più estremi che rappresentano costi crescenti per lo Stato e le comunità.
- Il revisionismo che gode di enormi investimenti in comunicazione da parte delle elite interessate allo status quo
- La costante e progressiva delegittimazione della scienza e della ricerca di base che utilizza giocoforza linguaggi e argomenti complessi e che in conseguenza di questo la dispongono agli attacchi da parte di portatori di interessi che si cintrappongono alle complessità con parole d’ordine e slogan semplici comprensibili alla pancia della gente.
- Una sindrome nata con l’affermarsi delle società post industriali che i sociologi chiamano “sindrome dello spettatore” per cui i cittadini in linea di massima non si sentono responsabili dei cambiamenti climatici e in virtù di questa convinzione non modificano le loro abitudini.
Dunque “che fare”:
Dal mio punto di osservazione rilevo che in diversi settori delle attività umane emergono esempi e vocazioni al cambiamento che la politica vassalla dei dogmi della crescita senza fine in un mondo troppo pieno e limitato di risorse non sembra esprimere se non nelle parole e nelle intenzioni in qualche manifesto o in qualche inutile conferenza. Dunque la speranza deve essere riposta nella volontà e nella iniziativa di pochi (per ora) in grado di indicare la via del cambiamento che non sarà prodotta da una contrapposizione frontale con le elite ma dal consolidamento di modelli alternativi che possono convivere con quelli dominanti. La storia poi determinerà come sempre in modo improvviso e insindacabile chi vince e chi perde quando due visioni del mondo sono in conflitto conclamato. Ed è a questo modello alternativo composto da piccole imprese etiche e controcorrente, da piccoli circuiti di economia circolare, da persone disponibili a cambiare le proprie abitudini, da chi perde il suo tempo per cause e obiettivi di cambiamento che bisogna dare riferimenti, mezzi e cabine di regia.
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